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“Sagapò” 
Renzo Biasion. 
Einaudi


All’imbrunire risalivano su all’osservatorio ed era bello vedere dall’alto il mare farsi sempre più oscuro e la punta del promontorio allungarsi via via, e diventare di un delicato rosa, come una lunga coscia affondata nell’acqua. E il sole immenso e rotondo schiacciarsi a poco a poco contro l’orizzonte come se qualcuno lo premesse di sopra con le mani, e tramutarsi da giallo in rosso e poi in un violetto cupo che permaneva nell’aria anche dopo la sua scomparsa.
Si fermavano a guardare quello spettacolo in silenzio, come colpiti da qualcosa di troppo grande. Ma poi una fame sana di giovani, che il bagno e le corse sulla spiaggia avevano ingigantito, li spingeva a correre alla cucina, solleticando Marruca perché si sbrigasse.
Alla sera, distesi sulla roccia ancora calda di sole, fuori di ogni pericolo, assaporando con lentenzza le sigarette della loro dotazione, ascoltavano il lontano brusio degli aeroplani sopra Iraclion, e il rumore delle bombe che giungeva attutito per la lontananza, come un ricordo vago e irreale della guerra.

E sulla montagna la luce diventava densa, quella luce dorata dei mari d’oriente che rende per un attimo tutte le cose eterne e preziose e detnro cui l’uomo s’immerge come in un fluido palpabile. Era bello il tramonto di lassù, ed egli allora era libero. Si commosse fino al pianto pensando al passato.

Ricordo quel periodo della mia vita con vivo piacere e con una leggera punta di nostalgia. Si stava come stanno i soldati in guerra, quando sono a riposo. E cioè come le foglie sull’albero, che il sole scalda, la pioggia raffredda, il vento agita. La bruciante estate era finita e cominciavano le molli giornate dell’autunno che sono, nell’isola, quanto di meglio un uomo possa gustare nella vita. Chi risaliva la collina visitando i casolari dispersi per scambiar la pagnotta con uova e formaggio, chi scendeva al mare per fare il bagno, raccogliere bellissime conchiglie sulla spiaggia, cantare e sognare. Ma tutti poi finivano per ritrovarsi nel vallone, dove si disperdevano su per i sentieri a chiacchierare con le donne, cercando tra esse l’amorosa.

Sulla passeggiata, nella parte della città rimasta intatta, tutto era come prima. Le donne camminavano allacciate ai loro amanti, reclinando la testa sulla loro spalla. Bambini, ignari, giocavano. Un vecchio seduto su una panchina fumava lento, assaporando con delizia ogni boccata di fumo. Le donne erano tanto belle, pulite, coi capelli lucidi, lunghi, abbandonati sulle spalle.

La casa di Moklos dall’alto appariva come un piccolo dado bianco nell’oscurità. Davanti, la barca tirata in secco era piegata sulla rena come stanca di navigare.

Il sole sta declinando ed è questa l’ora della bella costa, quando i colori, la luce, l’odore forte del mare, il profumo della foresta si fondono e agli occhi viene quasi un pianto di tenerezza, di gioia, di felicità. Il cielo accarezza il mare, una nube ancora bianca lo solca come un vascello a vele spiegate che vada incontro alla notte. Il sole d’improvviso la tocca e la incendia, il pallido celeste che sta dietro alla nube s’allontana. Sembra che una invisibile mano rovesci oro dappertutto, tutto diventa oro puro.

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