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Kastellorizo, l’isola e il suo contrario

Tra il cielo e la terra neri, solo una linea rossa a marcare l’orizzonte, le luci della biglietteria e quelle del “Diagoras”, il traghetto pronto a salpare dal porto di Rodi. Sulla nave una coppia di inglesi, poche famiglie greche, una quarantina di militari. Giochi di carte, sigarette, foto di gruppo. Ci fosse un asino a bordo, ricorderebbe l’inizio di “Mediterraneo” di Gabriele Salvatores.
I militari ci sono, la direzione è la stessa: Kastellorizo.

Per tutto il tragitto, sulla sinistra, colline brulle.
«Turkey?»chiedo a quello che sembra un ufficiale.
«Maybe, I don’t know», risponde disorientato, come il tenente Montini del film, che alla domanda: «Ma i Turchi sono con noi o contro di noi?» risponde con un italico: «Boh!».
Sì, è la Turchia.
Le reclute raggiungono altri soldati sull’isola di Kastellorizo – o “Megisti”, la più grande – e su quelle minori di Rho, più a ovest, e Strongili, più a est, presidi di roccia greca a una manciata di chilometri dal gigante turco. In queste zone, ogni tanto, ci si disputa uno scoglio e ci si schiera in assetto di guerra per il gas e il petrolio. Poi, quando non serve più distrarre l’opinione pubblica, tutto rientra, la tensione si sgonfia e i barconi di turisti continuano a fare la spola fra Grecia e Turchia.

Kastellorizo_02A metà strada, in lontananza, appare una vela. Naviga in senso contrario, piccola e solitaria. Potrebbe trasportare migranti: molti, provenienti dalla Siria, salpano dalla Turchia e cercano di approdare in Grecia e in Europa.
Dopo tre ore e mezza di viaggio in senso contrario, la nave approda invece nel porto principale di Kastellorizo.
Da una casupola bianca, isolata da tutte le altre, una donna e un uomo in costume da bagno salutano con ampi gesti i nuovi arrivati. Poco più in là, la “casa azzurra”, nel film dimora di Vassilissa, la prostituta greca della quale si innamora Antonio Farina. Alzando lo sguardo oltre le case colorate, oltre i bar, le barche e i ristoranti, sembra già di odorare quegli sprazzi di vegetazione pettinata dal vento, e di percorrere la strada bianca che si arrampica a zig zag oltre la collina.Kastellorizo_03

Ho una bottiglia di limoncello per Krystallo, la proprietaria della pensione dove, fra gli altri, Giuseppe Cederna soggiornava durante le riprese. Al sentir pronunciare il nome dell’attore, Krystallo sorride, mi abbraccia, e si fa nonna per i cinque giorni successivi.
In cucina, sotto lo sguardo di santi dorati e figli e nipoti in cornice, ogni mattina la colazione diventa più ricca di un ingrediente. L’ultimo giorno sarà luculliana. A tavola converso in greco stentato e a gesti, con lei e Aleksandros, il marito silenzioso dal sorriso ampio, che somiglia a un Eduardo greco.


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Sul lato sinistro del porto, l’hotel più lussuoso dell’isola in bassa stagione apre a tutti la propria piattaforma sul mare. Ci si tuffa nel porticciolo stesso, in un’insolita piscina d’acqua salata: case colorate da una parte, Turchia dall’altra.
Sulla riva opposta all’hotel, la bandiera greca sventola sul promontorio di Kavos, sulle rovine del castello, sui terreni abbandonati: dove adesso ci sono pietre e sterpaglie, poco più di un secolo fa miriadi di case coprivano il pendio.
Kastellorizo contava oltre diecimila abitanti, oggi oscilla intorno ai trecento. Storia lunga e appassionante, ma il museo principale dell’isola è ormai chiuso da un anno: il custode è andato in pensione e dal Ministero non arrivano sostituti.

Kastellorizo_08C’è un altro museo, all’interno della piccola ex moschea, sul lato destro del porto. Il guardiano prende il sole ascoltando la musica. Pagando due euro si entra nell’unica sala, allestita con eleganza, che profuma di mare.
I pannelli in inglese spiegano le origini neolitiche e la fondazione da parte dei Dorici. Più ci si avvicina ai nostri giorni, più le vicende si accavallano.
Nel 1300 l’isola è controllata dai Cavalieri di San Giovanni impegnati in Terra Santa. Nel 1460 l’armata egiziana fa tabula rasa.
Dal 1450 al 1522 tocca al Regno di Napoli, con un intermezzo turco.
Gli stessi Ottomani imperversano dal 1522 al 1912, con parentesi questa volta veneziane e greche. Kastellorizo si sente greca, e partecipa alla Guerra d’Indipendenza del 1821, ma è poi abbandonata dal governo centrale per la sua scomoda posizione geografica.
Nel 1915 i Francesi approfittano di una sollevazione contro i turchi, ma dal ’21 al ’41 “Castellorosso” entra a far parte delle “Isole italiane dell’Egeo”.

Kastellorizo_06Sono esposti in mostra i francobolli, e una foto della visita di Vittorio Emanuele III, affacciato a una finestra. Intorno a lui, alcuni uomini scattano nel saluto romano. Più lontane le donne vestite a festa.
Gli italiani qui costruiscono – spiccano le geometrie marmoree del Mercato del Pesce al centro del porticciolo – e distruggono. La popolazione inizia a diminuire drasticamente, e il disastro si completa quando nel ’41 inizia il dominio inglese. I tedeschi bombardano, l’isola viene evacuata. Molti ottengono rifugio in diverse zone del Mediterraneo. Tra queste, Gaza.
Quando alcuni decidono di tornare, gli inglesi hanno già compiuto razzie nelle case abbandonate. Così, per coprire il misfatto, incendiano tutto.
Nel 1948 finalmente l’unificazione con la Grecia, ma l’isola non è più la stessa, e le conseguenze sono tuttora visibili.

Kastellorizo_07“Mediterraneo” ha rappresentato un punto di svolta per l’isola. Da allora, 1991, il turismo è aumentato. Migliaia di turisti, molti italiani, approdano qui in alta stagione. Adesso, in autunno inoltrato, non ci sono.
In alcune zone dell’isola sembra non esserci nessuno. Basta superare Kavos per trovarsi nel porticciolo secondario, Mandraki, quello più inquadrato nel film. Anche qui, facciate vivaci accanto a crolli di mura e terreni incolti.
Sul lato destro riposa il cimitero. La porta in ferro battuto è solo appoggiata: affacciate sul mare, tra un albero e l’altro, le tombe con le foto dei defunti. Come per le case, alcune tombe sono nuovissime e brillanti, altre vecchie e cadenti (e, come ovvio, più belle).
Nella parte collinare del passaggio fra i due porti si sbuca nella piazza di Horafia. La grande chiesa di Agios Giorgios adesso è chiusa, con le sue crepe nei colori stinti, bianco, azzurro e arancione. Oltre a un cancello, la scuola, grande e colorata, realizzata a fine ‘800, che oggi ospita quaranta ragazzi dai tre ai diciott’anni. Il futuro dell’isola, lavoro permettendo.
Al centro della piazza la statua dedicata alla “Signora di Rho”, Despina Achladioti. Fuggì da Kastellorizo con marito e madre allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e si rifugiò sull’isola di Rho, allora deserta. I suoi due compagni di viaggio morirono pochi anni dopo. Lei restò, vivendo solo di poche capre, polli e ortaggi. Ogni giorno alzava la bandiera, anche se formalmente l’isola non fu greca fino al 1948. La issò anche durante la crisi greco-turca degli anni ’70, e fino alla morte, all’età di 92 anni. Le vennero tributati funerali militari, e adesso i soldati sull’isola salutano proprio quella vecchia bandiera.

Kastellorizo_13Mi avvicino a un piccolo bar che “non è un bar”, specifica la proprietaria: fa panini, caffè, birre e poco altro. Al tavolino un uomo con una lunga tunica grigia e la barba bianca. È Papa Giorgi, il prete ortodosso dell’isola, al quale, detta con un eufemismo, non dispiace la birra.
Sua figlia Maria, una bella donna, gestisce il locale. L’ha aperto solo pochi anni fa, dopo aver perso il lavoro di professoressa a Rodi. In un ottimo inglese, racconta dei figli, dell’isola, delle chiese, della piazza. Al momento del conto dice: «It’s only a coffe, don’t worry».
Nei quattro giorni sull’isola non si fa pagare né un caffè, né una bottiglietta d’acqua. Don’t worry.
Papa Giorgi si sfoga a gesti: «Tutti i turisti vogliono farmi una foto, ma perché? Sono solo un uomo con la barba e una tunica! Pensavo fossi uno di quelli!», stroncando sul nascere la mia imminente richiesta.

Kastellorizo_20Il terzo giorno, approfittando del tempo un po’ nuvoloso, percorro la scalinata bianca che da dietro al porto conduce in altura. Oltre una collina brulla spunta il monastero bizantino di Agios Giorgios. Cinque operai vi lavorano da tre anni, fra ori e affreschi. Tra un anno dovrebbero aver finito. Nel chiostro centrale, un pavimento a mosaico e pareti affrescate. Gli operai chiudono un’occhio e mi permettono di visitare le stanze ricche di immagini sacre, e la catacomba finché respiro.

Kastellorizo_15Poi un’altra ora di cammino, nel silenzio, senza incontrare anima viva, fra pietre, cespugli e bunker dell’esercito greco. Da uno di questi osservo la costa turca.
Infine Paleocastro: una collina con una manciata di chiesette arroccate e due grandi ulivi in cima.
Apro la porta d’accesso, ad accogliermi solo capre. Le chiese sono chiuse e si può solo intravederne l’oro avvicinandosi alle finestre.
Il panino preparato da Krystallo è come insaporito dal bianco delle pietre, dal blu del mare, dal vento riscaldato dal sole. In una parola: mediterraneo. Da qui sopra, così calmo, torna ad essere non solo un mare, ma un luogo d’incontro, una risposta e una soluzione, nello stesso giorno in cui, in Italia, in migliaia manifestano con la Lega contro un’invasione che non c’è, scambiando queste acque per un muro di cemento.

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La sera ceno al ristorante di Monika e Damien, lei tedesca e lui greco, invitato a provare il tiramisù fatto in casa con cui si chiude la stagione. La feta cotta nel miele è un poema.
Al momento del conto, neanche a parlarne, sarà per la prossima volta.
Dopo cena si va al Meltemi, ogni sera. Molti degli avventori sono militari in libera uscita. Siedono ai tavoli sul mare, mangiano con gli occhi le poche ragazze presenti. Rilassati, amichevoli, guardano le partite di coppa bevendo birra e ouzo. L’ Olympiacos batte la Juve e si esulta tutti insieme.
Ci si sposta in un altro bar vicino alla moschea, dove l’atmosfera è più cupa e l’alcol è gia scorso a fiumi. Scatto alcune foto. Un ragazzo si avvicina e intima di cancellarle, perché i soldati non possono essere fotografati. Lo convinco che almeno una, troppo bella per cancellarla, la devo conservare. In realtà non è niente di che, ma strappo l’assenso.

Kastellorizo_24Tornando a casa incrocio un uomo con lunghi capelli ramati e barba brizzolata, abbronzato, alto e dinoccolato. È lui ad aver salutato la nave all’ingresso nel porto, dalla casupola bianca isolata dal resto del porto. Si chiama Aleksandros. Mi dice di andare a trovarlo al mattino.
Così faccio. Accanto alla casa, tra gli ulivi, ha realizzato negli ultimi trent’anni terrazzamenti e sculture nella pietra. Figure geometriche, umane, elementi naturali, scritte. Un sole con la parola “logos” al centro.
Paulina, la sua compagna tedesca, pittrice, mi invita ad entrare in casa. Pochi gradini dividono la porta dal mare. Lo sciabordio e il caffè accompagnano la storia.
Kastellorizo_23Negli anni ’70 Aleksandros viaggia per alcune isole al confine con la Turchia, curioso di conoscere gli abitanti di una zona così “calda”: come si vive nel conflitto? Arrivato a Kastellorizo, decide di ripulire l’ex arsenale e di farne la sua dimora, ottenendo l’autorizzazione del comune. Vive frugalmente, con qualche libro, i fornellini, due piccole panche-divano, e una tenda fra gli alberi e le sculture. «Di cos’altro avrei bisogno? Io ho bisogno di logos!», reclama radiante.
Nella grande stanza bianca che ospita le opere sue e di Paulina, si parla per due ore di Arte, di Storia, del paese: «La Grecia non ha futuro», sentenzia Aleksandros, « I banditi hanno distrutto scuole, ospedali, tutto. Sanno solo vendere, venderanno anche quest’isola. I bar, i ristoranti e il turismo sono maschere. Per capire il degrado dell’isola vai al cimitero: l’importante è che la tomba di famiglia sia pulita, chi se ne frega se quella accanto cade a pezzi!».

IMG_0625Concordo in parte. Ma l’isola è questo e il suo contrario. È pagare dieci euro per un’escursione di venti minuti nella grotta blu, ma anche ospitalità diffusa, tentativo di far sentire l’ospite, ancor prima del cliente, a suo agio. Così come è porto visibile e porto nascosto, e collina che dal mare non si vede e che non sembra finire mail, disseminata di chiese e bunker.
A un’oretta dalla partenza, Nikos, proprietario del Meltemi, lascia il posto al bancone e fa cenno di seguirlo. In extremis, mi accompagna in motorino per altri luoghi del film. Fu uno dei pochi bambini a non aver partecipato come comparsa, perché troppo biondo, ma ricorda tutto: dov’era posizionata la cinepresa, l’atmosfera a camera spenta. Mi fa fotografare il suolo di un vicolo, perché lì sarebbe stato posizionato il tavolo della scena finale, quella del taglio delle melanzane e di Lo Russo che si gira verso il mare.
Sembra di sentire la colonna sonora.

Arriva la nave. Mezzo paese attende sul molo, per salutare, ricevere pacchi, mandarne, andare a Rodi. Scatto ancora delle foto. Ricompare il censore del bar: «Why do you take photos?», aggredisce. È della guardia costiera, rischio due anni di carcere per le foto con i militari. Mi fa il gesto delle manette e mi intima di cancellare la foto. Ne cancello una e ne conservo dieci.
Monika, la ristoratrice, mi chiede di stare accanto a Sabrina, la sua amica tedesca. È sicura che durante il viaggio di ritorno scoppierà a piangere, come ogni volta che lascia Kastellorizo.
Anche Krystallo sale sulla nave, per andare a trovare sua figlia a Rodi. Non c’è modo di protestare: mi offre panino, caffè e acqua durante il tragitto, oltre a mille storie, in greco, che chissà come capisco.
Mentre la nave esce dal porto, due turisti siedono sui gradini della casa azzurra, aspettando il loro turno con Vassilissa.
Aleksandros e Paulina salutano dai gradini sul mare.
Sabrina guarda l’isola piangendo.

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