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“Monete d’oro. Voci dal Gargano” 2. Avere cielo.

Avere cielo”.
Giuseppe guida la Panda gialla come in un rally, fra alberi secolari. Accanto a lui, Barry White, il suo cane bianco. Attorno, solo ulivi.
In questi campi, i contadini sono riusciti a seminare su ogni pendenza, su terreni irregolari, sviluppando un’elaborata concezione dell’albero, a suo modo artistica: «Quando scendevi dai rami, i maestri anziani ti chiedevano: “Come lo vedi?”. La produzione era marginale rispetto alla simmetria, all’estetica. In nessun’altra parte d’Italia trovi ulivi così curati».
Dove sono adesso i maestri potatori delle campagne di Vico del Gargano, uomini che usavano i rami potati per intagliare sagome e volti, «per un moto d’animo, una predisposizione artistica»?
Giuseppe ora li ricorda e li rimpiange, ma trent’anni fa, giovane apprendista, doveva trattenersi dal mandarli a quel paese: «Ti facevano sputare il sangue. Però ciò che facevano era selezionare gli uomini, per preservare la terra».
Lontano dai metodi delle colture intensive, qui l’albero è identità. Una visione che rimanda ad altre sponde del Mediterraneo, alle lotte dei palestinesi contro lo sradicamento dei loro ulivi: «C’è una relazione non solo predatoria, “prendi il frutto e vai”, ma fisica, di innamoramento. L’albero è una presenza familiare. Ci sono anziani che a casa, nel letto, senza potersi muovere, ne ricordano le caratteristiche, la posizione».
Tutto questo potrebbe scomparire, filosofia in via d’estinzione.

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Da bambino, Giuseppe accompagnava il padre nei campi. Ma non era con lui che avrebbe potuto imparare davvero, e non solo a mettere le mani su una pianta: «Il maestro ti parlava di donne, curava la tua vita privata. Ti dava un’identità, e lo faceva insultandoti. Se dimenticavi l’orgoglio, imparavi. Solo adesso il mio vecchio maestro mi dice: “Ven bbuon!” per ciò che faccio».
Lui “aveva cielo”.
Così dice: il ragazzino che non ha paura di arrampicarsi su ulivi di dieci, quindici metri “ha cielo”. Non ha le vertigini. Il che significa che potrà stare in alto a potare, come un barone rampante, e non in basso, ricurvo, a raccogliere le olive da terra. Una vera aristocrazia della pianta.
Un tempo un ulivo era una garanzia, anche di prestigio sociale. Abbatterlo era un sacrilegio, adesso non più. I mercati aperti e la concorrenza da altre sponde del Mediterraneo hanno fatto precipitare i prezzi: un chilo d’olio, che prima bastava per pagare una settimana di lavoro, adesso frutta 3 euro. I contadini abbandonano, per molti giovani l’ulivo è una croce.
Per Giuseppe è il contrario: «Ho fatto un discreto numero di esami a Giurisprudenza, a Bari. Mi so’ cominciato a vedere tutta la vita con i clienti che mi raccontavano i fatti loro: che angoscia! E ‘ste olive mi chiamavano fin da piccolo. Mi so’ detto: “Che voglio fa’?”. Ora ho delle soddisfazioni: riuscire a far venire il raccolto è un momento impagabile. Oppure svegliarsi alle 4 e mezza e passare attraverso ‘sti posti, all’alba, che pensi: “Ma chi li vedrà così?”»
Avrebbe potuto arricchirsi, ma da sradicato. Così si sente libero, utile. Sente di essere erede di qualcosa e di poterlo a sua volta trasmettere in eredità.
Di fronte a una casetta abbandonata, spiega: «Non è vero che il nostro olio, e quello italiano in generale, è più buono. È buono ovunque, anche in Albania o in Nord Africa, se lavorato bene. Però possiamo eccellere con il paesaggio, con la “scultura- olivo”».

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Con l’ex sindaco di Vico, Luigi Damiani, ha portato avanti un progetto, accantonato dalle nuove amministrazioni, di sovvenzioni ai contadini.
Le vecchie casette rurali diventerebbero strutture ricettive, dove fare vero agriturismo, senza eccessivi comfort e comodità. Un vero immergersi nella cultura e nella coltura, viaggio fra le tecniche e le tradizioni del luogo.
Se le famiglie tornassero a investire su questa terra, in un paesaggio agreste a tre chilometri dal mare, ogni cento metri il visitatore troverebbe un abitazione dove sostare, ascoltare, perché no comprare. L’acqua sarebbe di nuovo raccolta e distribuita correttamente, evitando smottamenti. Boscaglia ed erbacce non sarebbero più micce pronte ad accendersi.
Intagliando volti nel legno d’ulivo, il vecchio maestro potatore nasconderebbe, dietro gli insulti, la soddisfazione per quegli alberi simmetrici, ripopolati da ragazzi che hanno cielo.

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